A scuola con il… GRINCH! 

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di Fabrizia Ierace

Racconto di Natale di Ierace Fabrizia 

A SCUOLA CON IL… GRINCH! 

Non è che non mi piacciono le luci, gli addobbi e l’albero di Natale.  

Li odio proprio.  

Non sopporto le canzoni sdolcinate che passano alla radio. 

Non sopporto l’eterna diatriba “panettone o pandoro?”. 

Non sopporto i film natalizi. 

Non sopporto i finti Babbo Natale che spuntano ovunque. 

Non sopporto la corsa ai regali. 

Non sopporto il fingere di essere tutti più buoni. 

Sì, lo so.  

Sono stato paragonato a Ebenezer Scrooge o al Grinch a seconda degli interlocutori. Non mi interessa.  

Io.  

Odio.  

Il.  

Natale.  

Punto. 

Sì, lo ammetto, non sono sempre stato così: c’è stato un tempo in cui ero innamorato di tutto questo. Sembra impossibile, ma iniziavo a decorare la casa a fine novembre e non smontavo tutto almeno fino alla fine di gennaio. Iniziavo ad ascoltare la playlist natalizia a settembre. Compravo i regali di Natale con mesi di anticipo, perché ognuno doveva avere quello perfetto. Mi divertivo a guardare i classici film che ormai conoscevo a memoria e iniziavo il conto alla rovescia per “Una poltrona per due” mesi prima. Poi la Vigilia di Natale di tre anni fa ho deciso di fare una sorpresa alla mia fidanzata: avevo comprato un anello e volevo organizzare qualcosa di speciale a casa nostra, perciò mi ero finto impegnato con la mia famiglia e avevo insistito affinché anche lei facesse altrettanto. Peccato che il suo “impegno” fosse un suo collega di lavoro e la riunione fosse nella nostra camera da letto. Da quel momento ho iniziato ad odiare tutto quello amavo così tanto e che è stato spazzato via insieme alla fiducia negli altri.  

<<Maestro, possiamo disegnare l’albero di Natale, con tutte le palline colorate?>>, mi chiede Lorenzo. 

Dimenticavo un piccolo particolare: sono un docente della scuola primaria e insegno a bambini di sei anni. Bambini che amano tutto ciò che io odio. Bambini a cui devo mentire, fingendo di adorare questo periodo dell’anno. 

<<Ma certo che potete>>, mi ritrovo a rispondere. <<Poi li appendiamo tutti come decorazione sul muro della classe>>. 

<<Evviva!>>, esclamano in coro. 

“Che fatica”, penso. “Trenta giorni e sarà tutto finito”, cerco di farmi coraggio. 

È arrivato il periodo dell’anno più impegnativo per me. Manca il mese più lungo di tutti, ma ce la posso fare.  Essendo uno dei pochi single e senza impegni famigliari, sono stato incastrato anche questa volta dai miei colleghi per l’organizzazione della recita di Natale e del mercatino di beneficienza. Se non riuscirò a trovare un sostituto, mi toccherà travestirmi di nuovo da Babbo Natale. Un sogno per tanti, un incubo per me. 

Ieri c’è stata la prima riunione con il comitato che organizza la festa per prendere le prime decisioni, quelle più importanti. Il comitato è formato da una decina di mamme e papà super efficienti e pieni di idee che però poi toccherà a me realizzare. Per la mia gioia passerò tutti i prossimi pomeriggi a scuola a pianificare, allestire e decorare pareti e banchetti; dovrò programmare anche i lavoretti che realizzeremo con i bambini e che venderemo insieme alle torte e ai dolcetti il giorno della festa. 

Ho una marea di lavoro da fare, poco tempo e nessuna voglia. 

Alla fine delle lezioni vengo convocato dalla direttrice del comprensorio, che ha in serbo una sorpresa per me. 

<<Quest’anno la festa di Natale sarà organizzata insieme ai ragazzi della Comunità Casa Felice, che vi aiuteranno a realizzare gli oggetti da vendere e che parteciperanno attivamente anche alla recita>>. 

“Ci mancava solo questo”, penso alzando gli occhi al cielo. Sembra che la gente si diverta a rendere ancora più complicato un periodo già difficile di suo.   

<<Si tratta di ragazzi diversamente abili, la maggior parte con la sindrome di Down, che trascorrono la giornata nel centro, dove imparano ad essere autonomi nelle attività quotidiane e acquisiscono delle competenze spendibili nel mondo del lavoro. Sono esperti nella realizzazione di oggetti perché li costruiscono e li vendono per finanziare alcune loro attività, perciò saranno un notevole aiuto in tal senso>>, continua la preside. 

Si vede che è orgogliosa di tutto questo e io mi sento un tantino in colpa per aver subito pensato che si tratta di una scocciatura. Di solito apprezzo idee come queste, soprattutto se hanno un fine educativo, ma tra l’ansia per tutte le cose che devo organizzare e quella di poter sbagliare approccio con i ragazzi causando più danni che altro, mi sono fatto prendere un po’ dal panico. 

<<Insieme al direttore della comunità abbiamo pensato che inserirli in questo progetto porterà dei benefici sia a loro che ai nostri bambini>>. 

<<Siamo sicuri che funzionerà?>>, chiedo. 

<<Assolutamente sì, ho fiducia nei nostri bambini. Sono sicura che questa esperienza arricchirà tutti noi. Ovviamente come responsabile dell’evento avrai il compito di coordinare le attività, che si svolgeranno a scuola il pomeriggio e il sabato mattina. Non preoccuparti, la comunità metterà a disposizione dei volontari che ti affiancheranno>>.  

Iniziativa stupenda, volta all’inclusione, ma significa il quadruplo del lavoro per me, nonostante la promessa di un aiuto. Ho dei dubbi, soprattutto legati alla logistica, ma come sempre quando si tratta delle richieste della preside sono incapace di rifiutare, perciò incasso e inizio a pensare come potrei ottimizzare il tempo, gli spazi e le idee. 

Il giorno successivo inizia l’avventura: sono circondato da colla, tempere, carta pesta e decorazioni di ogni tipo. Ci sono dei volontari, dei signori in pensione che impegnano in questo modo il loro tempo libero, e qualche ragazzo della comunità, armato di buona volontà e ottimismo in abbondanza anche per chi non ne ha- il sottoscritto ovviamente. 

Chissà perché avevo l’idea che avrei faticato a trovare un punto d’incontro ed invece non è così; mi è bastato essere gentile e trattarli alla pari per garantirmi piena collaborazione. Forse il segreto è non farmi travolgere dall’ansia di sbagliare o dai pregiudizi e comportarmi come farei con qualsiasi bambino o ragazzino a scuola.  

Inspiegabilmente quando termina il pomeriggio quasi mi dispiace. 

<<Ottimo lavoro!>>, mi congratulo. <<Vi aspetto domani alla stessa ora>>.  

È incredibile quanto mi abbiano fatto ricredere; uno pensa alla disabilità sempre e solo come ad un impedimento, mentre mi è bastato un solo pomeriggio per capire che le cose non stanno affatto così.  

Nei giorni successivi la situazione migliora sempre più: vedere l’entusiasmo che i ragazzi del centro e i bambini della scuola mettono nella realizzazione delle decorazioni e nella preparazione della recita mi trascina in un vortice di buonumore costante, nonostante la mole di lavoro tra le lezioni da preparare, i compiti da correggere e la festa da organizzare sia immensa. 

Sono sorpreso dal bellissimo rapporto che si è instaurato subito tra i bambini e i ragazzi: collaborano, giocano, scherzano e traggono il meglio da ogni esperienza che vivono insieme. A volte siamo noi adulti che complichiamo inutilmente le cose con mille pensieri e paranoie; i bambini, nella loro semplicità, riescono invece a godersi ogni istante con naturalezza. Mi stanno insegnando a vedere il “diverso” non come una minaccia ma come un’opportunità di crescita. Inizio a pensare che la preside avesse ragione: questa esperienza porterà sicuramente qualcosa di buono! 

I successivi quindici giorni trascorrono in un turbinio di impegni ed attente pianificazioni, necessarie per poter portare a termine tutto quello che occorre per la festa della scuola. Il lavoro procede spedito, siamo davvero a buon punto e devo ringraziare sia i volontari che i ragazzi del centro, perché senza di loro non sarei stato in grado di concludere molto.  

Sembra assurdo ma mi sento una persona diversa: sono super soddisfatto di quello che stiamo facendo e sento sempre di meno l’obbligo di trascorrere il tempo insieme ai bimbi e ai ragazzi e di più il piacere di farlo. Se qualcuno due settimane fa mi avesse detto che avrei subìto un cambiamento del genere non gli avrei mai e poi mai creduto. Anche la mia famiglia e chi mi sta vicino sta iniziando a rendersi conto che c’è qualcosa di diverso in me. 

<<Guarda un po’ il nostro Grinch>>, mi prende in giro un amico dopo avermi sentito canticchiare una canzone di Natale. << Forse a qualcuno sta tornando la voglia di godersi questa festa?>>. 

<<Assolutamente no!>> ribatto, ma si tratta per lo più di orgoglio. 

Detesto ammetterlo, ma per la prima volta dopo anni inizio a godermi l’atmosfera di festa che si respira dappertutto. Di solito evito come la peste qualsiasi luogo in cui ci sono troppe decorazioni, mentre ultimamente sto piano piano riscoprendo il piacere di godermi le luminarie, i mercatini artigianali e i giri nei vari Christmas Village della zona. 

<<Maestro Federico, possiamo ascoltare tutti insieme qualche canzone di Natale?>>, mi chiede Benedetta, una ragazza di diciotto anni che frequenta il centro da pochissimo tempo, mentre stiamo decorando gli alberelli che faranno parte della scenografia della recita. 

Se l’anno scorso una richiesta del genere da parte dei miei alunni scatenava la mia irritazione, quest’anno questa domanda mi provoca solo gioia. 

<<Certo, metto la playlist natalizia su Spotify, così ascoltiamo tutte le canzoni che vuoi>>, rispondo sorridendo.  

La cosa sconcertante è che sono davvero sincero. 

<<Urrà, grazie!>>, replica regalandomi un sorriso a trentadue denti. 

Essere il responsabile di quella gioia mi riempie il cuore di felicità. Possono dei ragazzi con la loro sola presenza compiere un miracolo del genere? Non lo credevo possibile, ma sta succedendo proprio questo. Vederli sorridere nonostante le difficoltà e vederli lottare per superare i propri limiti mi sta facendo capire quanto mi stessi comportando da immaturo. Una singola delusione può davvero cambiare il mio essere, farmi voltare le spalle a quello che sono sempre stato? 

Vedere i volti di questi ragazzi trasformarsi dalla gioia per tutto quello che riguarda il Natale sta facendo rinascere in me quella scintilla che credevo sopita per sempre. 

I pomeriggi che passiamo insieme, le esperienze che condividiamo, i momenti speciali che stiamo vivendo e le tante risate mi stanno restituendo alcuni dei valori che credevo persi per sempre: la bellezza della condivisione, lo stupirsi per le piccole cose, la gioia di stare insieme, il donarsi amore attraverso piccoli gesti. Sto ritrovando la vera essenza del Natale, inizio di nuovo a percepirne la magia e a non vederlo solo come un obbligo o una scocciatura.  

Forse l’esperimento ideato dalla preside si sta dimostrando utile ai nostri bambini per imparare l’accettazione verso il diverso; forse è utile ai ragazzi e le ragazze della comunità che stanno trascorrendo dei momenti spensierati e stanno imparando a lavorare in un gruppo così eterogeneo. Quello che è certo è che sta aiutando me a diventare una persona migliore. Forse i miracoli di Natale accadono davvero nei cuori delle persone che sono pronte ad accettarli ed io finalmente lo sono.  

Il tempo sembra volare e anche gli ultimi quindici giorni che precedono la festa trascorrono velocemente. Sono riuscito a fare tutto quello che mi ero prefissato: ho organizzato la recita, con tanto di canzoni e un piccolo ruolo per ognuno affinché nessuno si possa sentire escluso; ho decorato la scuola, il banchetto con tutti gli oggettini fatti a mano e quello con torte e i dolcetti cucinati dagli alunni e i loro genitori; ho deciso di non cercare nessun altro ma di vestirmi io stesso da Babbo Natale per consegnare le caramelle ai bambini della scuola e un piccolo regalo fatto a mano ad ogni ragazzo o ragazza del centro diurno.  

Dopo anni mi sento finalmente in pace con me stesso e… felice. Sì, felice perché ho fatto qualcosa che non credevo possibile: ho saputo cogliere il meglio da questa esperienza e non vedo l’ora di ripeterla l’anno prossimo.  

Mi sono venute in mente un sacco di idee che vorrei proporre alla preside, così da continuare la collaborazione con la Comunità Casa Felice. Non pensavo, ma è stato davvero un successo per tutti. Ho intenzione di andare al centro una volta a settimana come volontario, per mantenere lo splendido rapporto che ho creato con tutti loro, ma sto già iniziando a pensare a cosa potremmo organizzare tutti insieme per Carnevale e Pasqua. Ho intenzione di realizzare grandi cose! Quella che inizialmente consideravo una scocciatura si è invece rivelata la cosa migliore che mi sia mai capitata.  

Il giorno della festa sono emozionato, euforico e triste allo stesso tempo. Questi trenta giorni che temevo così tanto sono finiti, ma invece che esserne felice ne sono dispiaciuto. La festa è un successo: la recita è divertente, commuovente e a tratti improvvisata per via di qualche vuoto di memoria che però rende tutto più spontaneo. I dolci preparati vanno letteralmente a ruba, così come tutti i lavoretti realizzati a mano da tutti noi. Il ricavato della vendita, insieme a quello dei biglietti della lotteria, sarà diviso a metà tra la scuola e la Comunità, in modo da poter finanziare le varie attività. Mi ritrovo a sorridere per tutto il tempo, nonostante mi senta parecchio ridicolo con indosso il vestito di Babbo Natale, ma vedere i volti soddisfatti dei miei bambini, dei ragazzi e delle ragazze della comunità e dei loro genitori, mi riempie di orgoglio e di gioia.  

<<Buon Natale a tutti!>>, urlo nel mio vestito rosso. 

<<Buon Natale a te maestro Federico>>, mi sorride Benedetta, facendomi sciogliere il cuore. 

D’ora in avanti nessuno potrà più dirmi che sono il Grinch della scuola.  


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