Un biglietto per Natale

Posted by:

|

On:

|

,

di Roberta Soverino

racconto pubblicato anche su “Di ginepro e zenzero” AA.VV., Collana Policromia

Megan cliccò sulla pagina di acquisto dei biglietti aerei e incominciò a compilare con i suoi dati. 

Fuori un vento gelido spazzava la via periferica di Dublino, intervallando aria e gocce di pioggia oblique che rigavano a intermittenza le sue due ampie finestre dell’appartamento georgiano dove viveva. 

“Megan…, anzi no, Margherita Rossi ”e poi nata a Milano…. 

Dopo tre anni che si faceva chiamare Megan, a volte, era difficile anche per lei ricordarsi che in realtà il suo vero nome era Margherita e che proveniva da Milano, dove sarebbe tornata per le vacanze invernali. 

Margherita era un nome troppo difficile da pronunciare per i suoi amici irlandesi e Margaret non la convinceva, così aveva optato per Megan Red. Se si doveva provare a cambiare, tanto valeva cambiare sul serio. 

Ecco, ormai era fatto. Stampò i biglietti con la sua pigra stampante che ci impiegò il suo tempo e spense il computer. 

Il pensiero di ritornare a casa le dava le vertigini e le faceva sudare le mani: accanto ad una gioia calda faceva capolino l’ansia e la sensazione di aver lasciato tutto in sospeso, quando se ne era andata. 

Certo, i suoi genitori le avevano fatto visita circa una, due volte all’anno, ma lei non era più ritornata. 

Scappare era diventata la sua specialità ma forse era tempo di fermarsi e voltarsi indietro. 

Si sistemò una ciocca di capelli castani dietro le orecchie e si picchiettò le guance, controllando la tenuta del suo make up allo specchio: fuggitiva sì, ma vecchia e trascurata mai! 

Alcuni giorni dopo, la mattina della Vigilia di Natale,Megan chiuse con un tonfo secco il suo trolley, si sistemò il suo costoso e caldo piumino e partì verso l’aeroporto. 

Le case che sfrecciavano in direzione opposta a quella del suo taxi erano cariche di decorazioni natalizie; soprattutto le ghirlande e il vischio alle porte non mancavano, come da copione per un popolo che faceva delle tradizioni la sua forza. 

Il calore artificiale dentro il vasto aeroporto l’accolse invitante e si mise subito in fila per il ceck-in. 

Annoiata, trascinando il suo bagaglio dentro la fila che procedeva a velocità millimetrica, si accorse improvvisamente di essere emozionata. 

Forse questo sarebbe stato un Natale diverso, un punto fermo nella girandola della sua vita. 

Intanto aveva appena fatto vedere biglietti e documenti alla hostess del desk dell’imbarco, quando un signore canuto e maldestro la urtò pesantemente, facendole cadere borsa e documenti che si rovesciarono a terra. 

Bloccando sul nascere un’imprecazione non troppo ortodossa, Megan si chinò frettolosamente per raccogliere tutto alla meno peggio e infilarsi dentro i corridoi mobili che collegavano la terra ferma direttamente all’aereo. 

Il viaggio fu tranquillo e, per l’ora di pranzo, era già atterrata a Malpensa. 

Non c’era nessuno ad attenderla, questo già lo sapeva perché voleva fare una sorpresa. 

Aveva detto ai suoi, pochi giorni prima, che, per una emergenza lavorativa, non aveva molte ferie quest’anno a Natale e che era meglio non organizzassero nulla. 

Aveva avvertito la stessa nota di delusione e rassegnazione nella voce dei suoi che aveva memorizzato tre anni prima, quando aveva comunicato loro del suo trasferimento imminente in Irlanda. 

Non che i suoi la volessero sempre a casa con loro, non era questo, ma sapere che la loro figlia stava fuggendo dai guai che aveva combinato, invece che affrontarli, doveva essere stato un bel boccone amaro da mandare giù. 

Nel frattempo stava riattivando il suo cellulare che, però, continuava ostinatamente a comunicarle “Sim assente”. 

Tanto peggio. Ci avrebbe pensato nel tepore della sua ex-camera, magari davanti a una bella tazza di tè bollente. 

Però, ora che se lo diceva, si accorgeva anche di avere fame. Molta fame. 

Entrò nel self-service dell’aeroporto, si servì generosamente appoggiando il tutto sul vassoio e si diresse alla cassa. Al momento di pagare, però, aprendo il portafoglio, lo trovò desolatamente vuoto. 

“Ma cosa..ho prelevato cento euro prima di partire stamattina..vuoi vedere che quel signore in aeroporto!!” esclamò tra sé sbigottita, davanti ad una cassiera che la guardava irritata. 

Megan ispezionò velocemente tutte le tasche del portafoglio: i documenti erano spariti, si rese conto con una leggera ansia, ma per fortuna, la carta di credito faceva ancora bella mostra di sé, luccicante nel suo “contact-less”. La porse alla commessa che, sbuffando,dopo aver eseguito due tentativi, gliela restituì: -”Non è funzionante, mi dispiace. Se non ha da pagare , lasci pure qui il vassoio, prego, ha già fatto formare una bella fila” e così dicendo, indicò le persone dietro di lei, visibilmente impazienti di proseguire. 

Diventando improvvisamente scarlatta, Megan abbandonò il vassoio al suo destino e si allontanò. 

Decisamente le cose non stavano andando come si era immaginata. Anzi, erano proprio uguali ai suoi peggiori incubi! Mancava le sparissero le scarpe e poi la vergogna che spesso provava durante i suoi sogni, scalza e confusa, sarebbe stata al top. 

Le balenò l’idea di chiamare i suoi ma si ricordò che anche il suo cellulare era fuori uso. 

“Bingo. Vediamo se quel simpatico signore mi ha lasciato gli spicci che avevo sparsi nella borsa, oppure il suo spiccato spirito natalizio lo ha spinto a prendersi anche quelli”. 

Raschiò in tutti gli angoli e tasche interne della costosa borsa color ruggine e ne vennero fuori ben tredici euro e ottanta centesimi. 

Ci acquistò il biglietto dell’autobus e un tramezzino dei distributori automatici. 

“Calma Megan, fra un po’ arriverai a casa e si sistemerà tutto..” 

Dal finestrino dell’autobus vedeva  avvicinarsi Milano, gli angoli delle strade lustrate a festa, suo malgrado così ancora familiari, la gente così eterogenea mischiarsi agli incroci trafficati e pulsanti di vita. 

Fortuna che dalla stazione centrale a casa dei suoi non erano neanche dieci minuti a piedi. 

Trascinando il suo trolley cercò di percorrerli più velocemente possibile: era stanca, nervosa, affamata e poi si sentiva sporca e sfigata. 

Ma ecco il quartiere familiare, le porte dei palazzi limitrofi. 

Si fermò al n.21 e suonò il campanello Rossi-Finzi. La voce di sua madre riempì il cuore di Megan. 

“Sono io, mamma, Margherita, so che ti avevo detto…” 

“Scusi? Cos’è, uno scherzo?” 

La voce di Megan si gelò d’improvviso, producendo piccole nuvolette di aria ghiacciata. 

Prese un respiro –“dai mamma, non è giornata. Apri che poi ti racconto” 

Click. Si sentì il citofono che si riagganciava. E nessun altro rumore seguì, che avrebbe aperto la pesante porta elegante del condominio. 

Aspettò qualche secondo e risuonò. 

Questa volta rispose suo padre : -”Se non se ne va sarò costretto a chiamare la polizia” 

“Papà” la voce di Megan si incrinò pericolosamente –“ti prego, non è il momento. So che abbiamo tante cose da chiarire, ma ora ho fame, non ho soldi, né documenti, non potete farmi questo, sono vostra figlia” ora stava proprio piangendo, senza ritegno. 

“Noi non abbiamo figli signorina” la voce di suo padre si era addolcita” ma non saprei come aiutarla. Ad ogni modo poco più avanti c’è la sede della Caritas, provi a chiedere lì”. 

La ragazza ammutolì e non rispose nulla. Tutto aveva preso i connotati dell’assurdo e aveva bisogno di schiarirsi un po’ le idee. 

Riprese il suo trolley ormai vissuto e incominciò a camminare per le strade limitrofe, senza allontanarsi troppo. 

Come era possibile tutto questo? 

Stava diventando matta? 

Stava sognando e si sarebbe svegliata di lì a poco nel suo letto di Dublino? 

Si diede un pizzicotto e tutto era ancora lì: l’albero di Natale bello e ricamato della stazione, le luminarie, il freddo che ti intirizziva le ossa. 

Valutò rapidamente il da farsi. Senza soldi e senza documenti. La Vigilia di Natale nessun ufficio sarebbe stato aperto per richiedere qualcosa che attestasse la sua identità, quindi si trattava di sopravvivere fino al 27. 

Intanto si era fatto buio e, oltre ad essere semiassiderata, stava davvero morendo di fame. 

Si accorse improvvisamente di essere seduta poco lontano dalla porta del centro Caritas,quando incominciò il via vai dei primi “bisognosi” che suonavano alla porta. 

Megan se li era sempre immaginati come lo stereotipo dei senzatetto ma vide, invece, che c’erano, anche, dei ragazzi giovani, messi un po’ male in arnese. Si fece coraggio e suonò anche lei. 

Se ne pentì nel momento stesso in cui allontanò la mano del campanello e già aveva impugnato il suo fedele trolley per andarsene. 

La porta però si era aperta prima ed era sbucata una donna, forse di qualche anno più giovane di lei. Per il resto le somigliava tantissimo: stessi capelli castani sulle spalle, stesse lentiggini, stessa corporatura. 

“Sì?” le disse senza tanti complimenti. 

Megan non sapeva cosa rispondere. 

“Credo tu sia venuta per aiutare per la cena della Vigilia no?…Non credo tu abbia bisogno, con questa borsa che già da sola vale una fortuna…”le rispose la ragazza della Caritas. Forse aveva voluto fare una battuta, mentre la squadrava con sufficienza ,nel suo piumino norvegese (che le aveva evitato l’assideramento) e la sua borsa firmata. 

Megan fece un cenno di assenso con il capo,imbarazzata,ed entrò. 

Calore e profumo di brodo l’avvolse all’improvviso e la sensazione non fu così spiacevole come se l’era immaginato. 

“So che sono soltanto le sei di pomeriggio, ma noi volontari stiamo mangiando adesso, perché poi, bè…più tardi…non si sa mai quando e quanta gente arriverà! A meno che tu non abbia già mangiato. Ah, io sono Francesca”. 

Dopo aver fatto di no con la testa (stava letteralmente morendo di fame) disse:” Megan.., cioè Margherita… be, è una lunga storia”. 

Francesca continuò a squadrarla con sufficienza (forse perché la ragazza indossava un semplice paio di jeans e un maglione dei grandi magazzini) e la introdusse in una stanzetta accanto alla cucina, già stipata di volontari che mangiavano tortellini in brodo. 

Il primo sorso fu il momento più consolatorio provato da parecchio tempo. 

Mangiò di gusto, cercando di non dare l’impressione di essere troppo vorace, ma chiese il bis, prima di completare con l’arrosto e le patate. 

La serata entrò, di lì a poco, nel vivo e Megan non ebbe più tempo per pensare o chiacchierare, presa com’era a servire e spreparare. 

Una strana sensazione di calma si stava impadronendo di lei: l’avere un compito semplice e ben preciso la stava aiutando, suo malgrado, a stemperare l’ansia e le preoccupazioni. 

Dopo le undici crollò, esausta, seduta su una sedia all’angolo del locale, ad un certo punto raggiunta da Francesca, la ragazza che l’aveva “accolta” (si fa per dire) all’entrata, parecchie ore prima, ormai. 

“Senti..Megan o Margherita che tu sia” incominciò senza tanti preamboli Francesca”io divido l’appartamento con un’altra studentessa che, però, a quest’ora, si starà ingozzando di sfogliatelle a casa sua, a Castellamare di Stabbia. Il letto è vuoto per qualche giorno, se stanotte vuoi occuparlo tu, per me non ci sono problemi.” 

“Oh- si sentì rispondere Megan. Aveva dimenticato per un po’ la sua situazione” sì, sai, i miei..-”incominciò a cercare qualche scusa credibile nella sua testa, ma Francesca la interruppe “ E’ okay. Anche io ho qualche problema con i miei…altrimenti domani non dividerei con te una lasagna surgelata che metteremo nel microonde!Ma va bene così, davvero, mi fa piacere non passare il Natale da sola. Poi domani vedremo.” 

Le accennò un sorriso un po’ imbarazzato e, ancora una volta, Megan si stupì nel rintracciare una grossa somiglianza con lei, anche nelle espressioni del viso. 

Intanto i ragazzi erano tornati dalla cucina con una bottiglia di spumante, per festeggiare la mezzanotte e, quindi, il Natale. 

Dopo l’ultima rassettata, alcuni di loro, tra cui Megan e Francesca, si stiparono nel furgoncino della Caritas e, colui che sembrava più o meno il responsabile, fece la spola per riaccompagnarli a casa. 

Si buttò sul letto appena Francesca le fece vedere la camera dove avrebbe dormito. Era stanchissima. Domattina avrebbe pensato a tutto. Adesso voleva solo chiudere gli occhi e scomparire. Domattina. 

Il getto della doccia le tolse di dosso anche gli ultimi rimasugli di stanchezza e, all’alba delle 11 della mattina di Natale, Megan fece il suo ingresso, pulita e profumata, nella cucinetta della casa che aveva condiviso quella notte con Francesca. 

Anche quest’ultima pareva sveglia da poco e sorseggiava il suo caffè ancora in pigiama e babbucce di pile. 

“Buongiorno. Ti ho lasciato un po’ di caffè…serviti e poi vieni a berlo vicino a me. Ieri non mi hai raccontato granché dopotutto… spiegami in che tipo di guaio ti sei cacciata, cercherò di aiutarti.” 

Megan raccolse tutto il suo coraggio e, tra un sorso e l’altro, decise di raccontarle tutto, rischiando di passare per pazza. 

“So che il tutto sa dell’incredibile: ma davvero ora mi trovo senza documenti e soldi e non so neppure come fare per poter tornare indietro!” 

“No no questo l’ho capito benissimo” rispose senza scomporsi Francesca, facendo rimanere Megan di stucco-”quello che non mi è chiara è tutta quella parte del perché sei scappata via anni fa in Irlanda e cosa è successo con i tuoi all’epoca…”. 

Non le era chiaro perché aveva soprasseduto su quella parte del racconto. A dire il vero non lo aveva raccontato mai a nessuno. 

“Non lo so, non lo ho mai più tirato fuori con nessuno…” 

“Forse ora è arrivato il momento…quello giusto, voglio dire. Quando manca un pezzo della propria storia, è difficile far combaciare i pezzi del proprio presente-”concluse saggiamente Francesca. 

Forse aveva ragione-”Ok. Risale tutto all’ultimo anno delle superiori. Io ero una ragazza insicura anche se non lo facevo affatto vedere. Per sentirmi più protetta avevo incominciato a frequentare il gruppetto delle “bulle”, sempre rispettate e un po’ temute. All’inizio si facevano quattro risate..ma ad un certo punto hanno incominciato a prendere di mira una compagna, bè..un po’ sovrappeso. Era terribile ma io non mi sentivo abbastanza forte per fare qualcosa. Mandavano sempre me in avanscoperta e io le lasciavo fare. Le facevamo ogni orribile scherzo. La disegnavamo come fosse un pallone gonfiato sulla lavagna prima che entrasse in classe. Io mi sforzavo di ridere con le mie amiche, non mi piacevo, ma non avevo comunque capito quanto Monica, la nostra compagna, ci soffrisse.Poi un giorno successe un casino. Chiamarono l’ambulanza e i vigili del fuoco perché c’era qualcuno che minacciava di buttarsi giù. Era Monica. Qualcuno la convinse a scendere e a raccontare tutto. Fummo sospese, i giornali locali ne parlarono. Vidi la delusione negli occhi dei miei genitori, gente per bene.” 

Le lacrime avevano iniziato già da un po’ a bagnarle il viso. 

“Dopo qualche settimana mio padre mi chiese se volevo iniziare un percorso psicologico. Rifiutai. E appena finita la scuola cercai un lavoro da centralinista all’estero, per scappare via. I miei non mi fermarono. Forse una parte di me l’aveva sperato. Vedi, anche chi sta dall’altra parte, spesso, ha le sue sofferenze nascoste, solo sceglie un’altra strada, la più sbagliata, per esprimerle. O forse è la strada che sceglie noi e ci cadiamo con tutte le scarpe, senza pensare che ci possa essere un’altra alternativa, senza far soffrire altre persone”. 

“Mi dispiace. Sento che questa storia ti ha fatto molto soffrire, chissà quanto deve aver ferito Monica. Hai saputo più niente di lei?” 

“No, Dopo essersi ripresa ha cambiato scuola. Non ho più avuto neppure l’opportunità di dirle quanto mi dispiaceva” 

“Forse non è mai troppo tardi-”continuò Francesca “dammi nome e cognome e facciamo qualche ricerca su internet.” 

Dopo la consumazione della lasagna surgelata, si misero al lavoro. 

Stranamente Megan si lasciò guidare da quella ragazza e, alla fine, la trovarono su Facebook. Incrociando i dati che trovarono in un motore di ricerca ottennero niente meno che il suo indirizzo, ancora lì, a Milano. 

“Senti Francesca, non lo so se ce la faccio. E’ passato tanto tempo, magari non si ricorda neanche più”. 

“Se è andata come mi hai raccontato, temo che se lo ricordi eccome.” 

Francesca l’accompagnò fino all’inizio del quartiere dove viveva Monica, incurante che fosse proprio la giornata di Natale ma poi la lasciò:” E’ una cosa tua, la devi affrontare da sola. Io ti aspetterò a casa, ho ancora un paio di cose da fare sul pc.” 

L’incontro fu difficile ma davvero importante. 

Monica si ricordava benissimo  e non la fece entrare. Preferì uscire lei, ben imbaccuccata e con un espressione interrogativa ma risoluta in faccia. Ascoltò senza batter ciglio le scuse di Megan e dopo aver sospirato qualche volta, infine le rispose. 

“Ora ho un ragazzo, sai. Ci puoi credere? Un lavoro, un ragazzo e senza neppure essere dimagrita. Forse non mi è andata poi tanto male, dopotutto. Voi mi avete fatto capire cosa contava davvero. Spero di ricambiarvi il favore, prima o poi, disse con un espressione tra il sarcastico e il divertito.Certo, il passo di oggi è un buon primo passo. Buon Natale”e così dicendo le stese la mano. 

Megan, con gli occhi lucidi, la ringraziò, e sentì che non c’era più nulla da dire. Non sarebbero diventate amiche ma, di certo, quel chiarimento, aveva fatto bene a tutte e due. 

Ritornò più leggera da Francesca ma, appena entrata in casa, capì che le sorprese di quello strambo, idiosincratico Natale, non erano ancora finite. 

”Non ti chiedo nulla perché lo vedo già dalla tua faccia. Lo speravo, sei stata brava e coraggiosa. Così ho deciso di farti un regalo, un regalo di Natale. Ecco, ho appena stampato un bel biglietto aereo per Dublino per Francesca Lovicino. Tieni”e così dicendo le porse biglietto e la sua carta d’identità. 

“Ma io non capisco-”attaccò Megan, subito interrotta da Francesca che le spiegò: “ senti, non dirmi che non ti sei accorta anche tu della nostra straordinaria somiglianza… domani prenderai quell’aereo e tornerai a Dublino, dove sarà più semplice sistemare tutto. Hai la tua casa, il tuo conto in banca, il tuo lavoro… mi rispedirai per posta i miei documenti…please”concluse con un occhiolino 

“Non so come ringraziarti..certo, ti ridarò anche i soldi del biglietto!” 

Quella sera pasteggiarono con una pizza a domicilio e due birre, piene di speranze e anche un po’ di nostalgia, anche se non sapevano fino in fondo il perché. 

Il mattino seguente, riprendendo il suo affezionatissimo trolley, riprese a ritroso l’autobus (anche quello pagato da Francesca) e arrivò a Malpensa. 

Il ceckin fu tranquillo, come anche il viaggio, del resto. 

Solo, una volta atterrata, mentre camminava verso l’uscita, si ritrovò, stranamente, al lato partenze. Neanche il tempo di capacitarsi sul dove poteva aver imboccato il corridoio sbagliato, che si sentì urtare violentemente una spalla e, come un deja-vous, si ritrovò il contenuto della sua borsa sparpagliato per terra e lo stesso, canuto e barbuto uomo, che cercava di rimediare aiutandola. 

Megan rimase per una attimo interdetta ma poi, dopo aver raccolto tutto alla meno peggio, si preparò ad urlare un “al ladro”, quando le parole le morirono in gola, perché il nostro uomo le mise in mano una carta d’identità e una banconota da cento” Non si dimentichi questi signorina, se vuole arrivare a Malpensa in tempo per il cenone della Vigilia” 

Le sembrò di aver capito male. Aprì la carta d’identità e invece di quella di Francesca, che le era servita fino a poche ore prima, si ritrovò in mano la sua, con la scritta ben in vista “Margherita Rossi”. Girò la testa verso il tabellone del desk davanti a lei e lesse, perdendo un colpo del suo battito regolare, “ Destinazione Milano Malpensa, 24 dicembre, ore 11.05” 

L’hostess la esortò vivacemente: su signorina, qui c’è il suo biglietto ma mi deve dare anche il suo documento…starebbero aspettando lei per l’imbarco, non ha sentito l’altoparlante? 

Megan fece ciò che le si richiedeva in maniera automatica e si avviò, incredula, verso il corridoio d’imbarco. Solo, un attimo prima di imboccarlo, si voltò. 

Le sembrò di vedere una Francesca, sullo sfondo, alzare la mano in segno di saluto, per poi scomparire sotto i suoi occhi, in maniera evanescente. Strizzò gli occhi, chiedendosi se avesse solo immaginato. La hostess, spazientita, la sospinse garbatamente ma risoluta nel corridoio e chiuse il ceck-in con il nastro rosso. 

Durante il viaggio non riuscì a pensare, solo continuò a controllare il suo documento e la banconota da cento. Il documento di Francesca, naturalmente, era sparito. D’altra parte non le serviva più. 

Appena atterrata si precipitò ad accendere il suo cellulare: era perfettamente funzionante. 

Improvvisamente si rese conto di averne abbastanza di sorprese, fatte o subite. Così compose senza remore il numero di suo padre. 

“Papà? So che vi avevo detto che non sarei venuta per Natale, ma sono a Malpensa… Cosa? Mezz’ora va benissimo…vi aspetto al bar del lato arrivi” 

Megan tirò su con il naso, un po’ emozionata. Era pronta a vivere il suo Natale. 


Segui Roberta Soverino su Instagram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *