Luce

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di Lorenzo Foschi

Natale è domani, ma questa volta non c’è alcuna magia nell’aria. La mia famiglia è chiusa nel lutto più doloroso, e per questo non si respira alcuna voglia di festeggiare.
Mia madre è morta da poche settimane, e io con lei.
Mi sento vuoto, nonostante io abbia tutto, perché non le ho mai saputo dimostrare il meritato affetto. Siedo in macchina, silenzioso e inafferrabile, con le gambe sul sedile e il busto sull’altro. Lo sguardo perso nelle goccie d’acqua, che lentamente scorrono sull’umido parabrezza.
Le luci dei lampioni, confuse e proiettate dall’astigmatismo, si riflettono sull’asfalto bagnato. Osano disturbare il mio sonno a occhi aperti, mi ricordano che devo tornare a casa. Penso che non voglio tornare in quel luogo, ne ho paura. Temo il rivivere dei ricordi tra quelle vetuste stanze. Temo la morsa di ciò che è stato, e non sarà mai più.
Una luce, tra le mille mischiate nel dipinto ad olio su tela, attira la mia effimera attenzione. Incredibilmente, mi soffermo: si tratta di un tatuatore. Mi desto definitivamente dalla mia momentanea narcolessia: un’idea mi ha invaso. Scosso dall’abbaglio ricevuto, come il cerbiatto che rimane colpito dalle luci di una vettura, procedo a passi lenti verso quella lanterna.

Voglio che l’inchiostro scorra nella mia pelle, voglio fissare questa mia percezione, voglio catalizzare il
mio dolore in un feticcio. Anelo l’opera catartica dell’arte, e a tal fine varco la soglia dello studio. Esprimo i miei desideri all’uomo che mi aspetta dall’altra parte, anche se la mia sindrome dell’impostore mi impedisce di farlo a cuor leggero. Gli chiedo una candela, come quelle che mio padre regalava spesso a mia madre. Una candela che risplenda nel cuore della notte e mi indichi la via. Una che mi tenga al caldo, che non mi lasci mai solo nell’oscurità. Voglio un simbolo che scuota la mia paura di andare avanti, che mi spinga ad attraversare la selva.
Mia madre adorava le candele, e ora voglio che la sua luce viva sul mio corpo. Stampata, irreversibile, persistente, insensibile allo scorrere del tempo.
Ringrazio i lumi della strada, che mi hanno condotto in questo luogo nascosto della mia mente. Vivo il processo di impressione dell’inchiostro come un atto religioso, e d’un tratto mi sento meglio. Mia madre non vorrebbe vedermi così, penso. Vorrei vederla un’altra volta, penso.
Torno a casa, con il magone stretto attorno al collo e il pizzico dell’ago ancora sul mio braccio destro. Mi aspetta una lunga notte, in cui per fortuna non rimarrò al buio. Non questa volta.
Senza neanche accorgermene, allo scoccare della mezzanotte, dall’egoismo del mio essere, esprimo nuovamente il desiderio d’incontrarla.
Provo fastidio nella mia sfacciataggine, nel mio richiedere qualcosa di tanto assurdo. Provo fastidio, anche, nel sentire il cuscino bagnarsi delle mie insensate lacrime. Mi merito questo, nient’altro. Mi merito di affogare nei miei pensieri finchè lei non verrà a prendermi con sè.
Mi ero dimenticato di che giornata fosse, mi ero dimenticato di essere stato bambino, di aver creduto in qualcosa che si portasse oltre alla fredda scienza.
Il mio desiderio, il capriccio di un bambino viziato, viene accolto a gran voce dall’architetto del cosmo. Sobbalzo, non percependo più il prodotto della mia tristezza, stanziante sulla stoffa.
Apro gli occhi e di fronte a me la vedo, felice e spensierata. Mio padre le porge una delicata confezione viola, impacchettata con cura e rilegata con motivi eleganti. La apre sorridendo, trovando al suo interno un insieme di candele dalle forme più disparate. Nell’angolo della stanza mi vedo imbronciato; chiaramente non coglievo l’incanto celato in quell’oggetto tanto insignificante. I miei genitori si abbracciano, lieti di essersi scambiati un altro piccolo momento insieme. Abbracciano anche quel bimbo, che finisce per sorridere con loro. Vedo, negli occhi di quel pargolo, dell’amore latente. Sono davvero io?
Mi stringo forte il braccio destro, e improvvisamente sento sciogliersi ogni mio timore. Avevo sempre schifato le retoriche sulla magia del natale, ma in quel momento sento il significato degli affetti accogliermi nel suo abbraccio più confortante. Sento nuovamente uno scossone, e gli occhi si chiudono.
Il giorno dopo, forte della mia esperienza, stringo forte mia moglie. Finalmente, dopo giorni, le sorrido. Mia madre vorrebbe questo.


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