Emozioni in bilico

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di Selene Minopoli

A piedi nudi, sul davanzale della finestra, Alice non riusciva a smettere di piangere.  

Un vento gelido le sferzava il viso, mentre una voce indistinta e lontana le ripeteva: “Vieni, vieni via con me…”  

Soffriva e nessuno se n’era accorto, nemmeno mamma e papà, barricati nel loro mondo adulto e perfetto. Quante lacrime avrebbe dovuto ancora versare? 

Presto, tutti sarebbero stati costretti a ricredersi.   

“Non temere, io sono qui”. 

 Ancora quella voce.  Non taceva mai. L’accompagnava ovunque andasse.  

Guardò giù e un brivido le percorse la schiena. Da quell’altezza sarebbe stato impossibile salvarsi.   

«Poco importa», si disse scrollando le spalle. 

Immaginare il suo corpo straziato non le provocava nessuna reazione. Quel corpo che un tempo aveva amato ora le era estraneo, non lo sentiva più suo. D’altronde, i cambiamenti l’avevano sempre terrorizzata.  

Davanti allo specchio, Alice non trovava nulla che le piacesse o potesse piacere agli altri: il seno era troppo piccolo, niente a che vedere con quello delle proprie compagne, fisicamente già donne; e non era sufficientemente magra, almeno non secondo i canoni della moda.  Oltre a tutto questo, sua madre insisteva ancora a sceglierle gli indumenti da indossare, come fosse una bambina.  

 Provare a convincerla di lasciarla andare, permettendole di crescere, era una battaglia persa in partenza. Oramai si era arresa al fatto di non avere voce. 

Le sue grida strozzate di ribellione si condensavano in un solo gesto, frutto di una decisione sofferta, dolorosa e lucida; di notti intere passate a struggersi perché incompresa, con la segreta speranza che qualcosa le facesse cambiare idea, spingendola a credere che valesse la pena vivere. 

Strinse la croce che portava al collo, finché le nocche non le divennero bianche. Furente se la strappò via, gettandola dal sesto piano.  

La chiesa avrebbe condannato il suo gesto, ma non le importava. Dov’era Dio quando aveva bisogno di lui? Perché adesso non era lì con lei? Erano tutte menzogne. Se fosse esistito, non avrebbe permesso tante ingiustizie. 

Osservò la città illuminata dalle decorazioni natalizie. Tutto si stava preparando per l’evento più magico dell’anno. Per un attimo, si sentì ingrata.  

La verità è che sono una vigliacca, si disse.  Poi la voce insistente e ipnotica riprese a parlarle. La rabbia sopraggiunse di nuovo, accompagnata da un senso di nausea. 

Desiderava solo che gli altri comprendessero il suo dolore, provassero pentimento. 

Un tuono improvviso la spaventò, facendola vacillare.  

Il cuore le tamburellò nel petto a un ritmo frenetico e costante, simile a una musica tribale, annunciante un sacrificio: il suo. «Non sono ancora pronta», si ripeté sottovoce, aggrappandosi alla finestra. 

La pioggia prese a cadere violentemente, inzuppandola in breve tempo.  

Bagnata e infreddolita, provò a far riaffiorare momenti felici passati, senza riuscirci.  

Strano, si disse battendo i denti. 

In quello stato faticava a ragionare. Intirizzita dal freddo e tremante non poteva reggere a lungo. 

Fece un grosso respiro e iniziò a contare. Sarebbe arrivata fino a mille, dopodiché avrebbe lasciato che il suo corpo si librasse nell’aria leggero e poi… E poi non voleva pensarci. Sperava che tutto terminasse in pochi istanti.  

Con il dorso della mano destra si asciugò il naso colante, assicurandosi di non mollare la presa con la sinistra. 

 Intanto, non riusciva a esimersi dal piangere e a dispiacersi per sua sorella, così piccola e indifesa (la sua crescita sarebbe stata a lungo segnata da ciò che si preparava a compiere), e di sentirsi in collera con i suoi genitori, sempre pronti a rimproverarla per ogni cosa. La rabbia era tale che avrebbe voluto urlare a squarciagola il suo tormento. Ma doveva agire in maniera silenziosa. 

Ripensò a tutte quelle volte in cui aveva cercato di accontentarli. Anche la scelta del liceo era stata una loro decisione, indifferenti ai suoi desideri e alle sue passioni. Non le avevano mai chiesto cosa volesse davvero e se fosse felice. E le aspettative che nutrivano nei suoi riguardi erano così alte, da spaventarla.  

Temendo di fallire, aveva rinunciato a mettersi in gioco e il risultato era stato un disastro annunciato: brutti voti, punizioni e mal di pancia a non finire.  

Andare a scuola non era più la normale attività di una quattordicenne, ma un dramma che si ripeteva ogni mattina, un incubo senza via d’uscita. Inoltre, il suo aspetto acerbo e la sua spiccata timidezza l’avevano resa il bersaglio preferito di alcuni ragazzi e ragazze che, al suo passaggio, non le risparmiavano battute cattive e sorrisini maliziosi.  

Dopo aver tentato invano di fregarsene, era esplosa in una crisi isterica aggravando la sua situazione: nessuno più si avvicinava a lei, se non per deriderla chiamandola “pazza”, giungendo ad insultarla anche attraverso il web, sul suo profilo social.  

Sua madre e suo padre erano totalmente all’oscuro di quello che le stava succedendo. Non ne aveva parlato per vergogna, ma anche perché non voleva che la considerassero debole, da proteggere.  

Così aveva sopportato in silenzio finché un giorno, navigando nella rete, era approdata su un sito in cui alcuni adolescenti, vittime di bullismo o abusi, sfogavano la loro rabbia. A volte capitava che parlassero anche di farla finita, indirizzando verso il deep web (una sorta di mondo del sottosopra, oscuro, sommerso e infernale) dove era possibile trovare qualsiasi cosa si volesse. 

Allo shock iniziale, era seguita l’idea ossessiva che porre fine alla propria esistenza fosse l’unica strada percorribile anche per lei. Da allora, una voce assillante aveva preso a parlarle nella sua testa e non c’era stato verso di zittirla. 

Ora, mentre l’aria pungente della notte le trafiggeva la pelle, riusciva solo a pensare che di lì a poco avrebbe smesso di soffrire. 

All’improvviso, un’immagine la richiamò alla realtà: il viso sorridente della sorellina a cui voleva molto bene. E ricordò tutte quelle volte che la sua manina aveva cercato la sua mano, oppure quando sgattaiolava nel suo letto per farsi leggere una favola. «Da grande voglio essere come te», le ripeteva con le sue tenere fossette ai lati della bocca, riempiendole il cuore d’amore.  

Quel ricordo riuscì a strapparle un sorriso e a smuoverle qualcosa d’indefinito e intenso.  

“Vieni, non temere”, sentì ancora dentro di sé.  

«Novecentocinquanta…», contò. Presto tutto si sarebbe concluso. 

Bussarono alla porta: «Sei sveglia?» sussurrò una dolce vocina. 

No, non adesso, pensò, terrorizzata all’idea che la sorellina fosse là, in attesa di un suo invito ad entrare. Per fortuna aveva chiuso a chiave. 

Le gambe le tremarono ancora di più e il cuore fu sul punto di scoppiarle.  

Stava realmente per compiere quell’atto estremo? E tutti i suoi sogni che fine avrebbero fatto? 

Niente più Natali o feste di compleanno, abbracci e risate. La sua morte avrebbe creato sconcerto e dolore, ma poi la vita avrebbe ripreso il suo corso e lei sarebbe stata dimenticata. E si chiese se volesse esattamente tutto quello.   

Il bussare si fece più insistente. Indecisa, ruotò la testa di lato, mordendosi il labbro.  

«Novecentonovanta», disse continuando a contare. 

“Non voltarti indietro…” udì con una nota stonata. 

Da dove proveniva quella voce? Le parve che non fosse più tanto amica. 

Lentamente socchiuse le palpebre 

Ci siamo, pensò prima di pronunciare l’ultimo numero.  

«Mille!» fece, aprendo nuovamente gli occhi. Dopodiché, trattenne il respiro, come poco prima di tuffarsi in piscina, e si lasciò cadere… 

Atterrò sul pavimento, tenendosi salda sulle gambe.  Spalancò la porta della camera e strinse a sé la sorellina, singhiozzando.  

Sentendo tutto quel rumore, i genitori accorsero spaventati, rimanendo pietrificati davanti a quella finestra aperta in pieno inverno e alla loro bambina fradicia e infreddolita. 

Quando i loro sguardi si incrociarono, il silenzio parlò per loro, interrotto solo dallo scrosciare della pioggia. Si abbracciarono, piangendo lacrime amare e di gioia.   

Finalmente la voce nella sua testa aveva smesso di risuonarle. Udiva solo i sussulti del suo cuore come fossero parole d’amore. E le sembrò di essersi risvegliata da un terribile incubo. 

Da quel momento, Alice non avrebbe più permesso a nessuno di avere potere sulla sua mente e sul suo destino.  

Sorrise alla sorellina, inconsapevole di averle salvato la vita, come un piccolo angelo guardiano della sua anima. Poi chiuse gli occhi e tutti i momenti felici riaffiorarono in un istante. 


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