Cuore di macho

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di Arianna Ciancaleoni

Non capisco cosa sia successo, ma è cominciato tutto quando ho ricevuto quel messaggio. 

“Non credo sia più il caso”, aveva scritto Valentina. Le avevo solo chiesto di uscire, come le altre volte. Di stare insieme durante le vacanze di Natale. Poi, certo, sapevamo bene dove saremmo finiti, o almeno, dove speravo che finissimo. 

Perché, stavolta, non era il caso? 

“Perché?” 

Gliel’avevo chiesto. Non sono mai stato uno che si tira indietro, in tutte le situazioni. 

Per un po’, non aveva risposto. So che le donne sono così, che se la tirano, che ti fanno rosicare, ma a me non interessava, anche se, beh, due o tre volte il telefono l’ho controllato.  
Ma non c’erano novità. 

Finché non era apparso un nuovo messaggio. 

“Perché non voglio essere una tra tante” aveva scritto.  

Ed è da allora, che ci penso.  

Valentina è davvero una tra tante? 

Non le ho più risposto, perché non so cosa dire. Non è certo la prima che, improvvisamente, vuole troncare con me. Non sono neanche troppe, però: di solito sono io ad abbandonarle senza pietà, se non mi va più di vederle. Normale, onesto, sincero, sono così. Ma allora, perché continua a rimbombarmi in testa quel messaggio? Stamattina, ancora, mi sono svegliato ripensandoci, come se per tutta la notte non avessi fatto altro che sognarlo. E sognare Valentina, mentre lo scriveva. I capelli scuri, lisci, mai fuori posto neanche quando perde il controllo. Quegli occhi scuri che mi fissano come se vogliono passarmi attraverso, per vedere che c’è dentro la mia testa. Quanta altra gente mi guarda così? Non mi viene in mente nessuno. Nessun altro. Nessun’altra.  

Mi rovescio il caffè addosso, mentre faccio colazione. Resto fermo, a guardarlo gocciolare dal tavolo. Ormai, non è più neanche bollente. Devo andare a lavorare e invece vorrei restare a pensare, a riflettere, a non farmi sfuggire quella sensazione, insolita e fastidiosa, di star perdendo qualcosa di importante. Come quando spalanchi la finestra o accendi la luce e i sogni ti si cancellano all’improvviso dalla memoria. Invece, stamattina, ai sogni mi ci aggrappo. Mi aggrappo al maglione di Valentina, quello nero con la spalla scoperta, che mi distrae da tutti i miei problemi. Al profumo che ha, che non so più se è qualcosa che indossa o se è davvero lei. Ma mi è capitato di sentirlo, a volte, anche nei momenti in cui  non c’era. Mi alzo, passai uno straccio bagnato sul tavolo, butto la tazzina in lavastoviglie, cerco di buttarci anche i miei pensieri.  

Ma le altre? Me le ricordo così bene? Ci penso così spesso? Sento il loro profumo che mi accompagna, anche quando mi faccio la doccia a fine giornata in palestra? Mi restano in testa tutti i giorni? Non mi ricordo niente di simile a Valentina, al momento. Ma sono distratto, perché è tardi, devo andare. Prendo le chiavi della macchina, esco. Sul sedile, c’è ancora la busta della gioielleria. Dovrei toglierla di lì, ma per adesso mi limito a infilarla sotto al sedile. Le avevo comprato un braccialetto, d’argento, niente di impegnativo, ma lei neanche vuole più vedermi. Vorrà dire che lo riciclerò a qualcun’altra, non so bene chi.  

Fuori fa un freddo boia, ci sono ovunque decorazioni natalizie e cover fastidiose di Michael Bublé e simili, ma a me risuona in testa lei, quando l’ultima sera che ci siamo visti mi ha detto che voleva mettere il piumone sul letto e io le avevo risposto che volevo finirci dentro.  

E la sua risata, a quella battuta cretina. Poi se n’è andata, e “non credo sia più il caso.” 

Quando arrivo in palestra, una ragazza mi sorride e mi saluta. La ricambio, ma mi viene il dubbio. Non so chi sia: una delle mie allieve di qualche corso, una con cui sono stato, una che mi ha salutato così, perché sa chi sono e io non so chi sia lei? Ma soprattutto, che mi prende, stamattina? Che sono tutti questi pensieri? Il bello è che non riesco a scacciarli: non funziona muovere le braccia come se fossero mosche fastidiose, schiacciarli mentre corro come formiche, allontanarli chiudendoli in un’altra stanza. Arrivo a sera sfinito, ma non è stato l’allenamento, non sono stati gli allievi, né lo stress della giornata. Non sono sfinito solo nel fisico, che ormai è abituato. Sono sfinito in testa e, per me, è una sensazione strana. Mi butto sul divano e riprendo il cellulare. Ho un sacco di conversazioni aperte: ragazze, non solo. Ma torno al messaggio di Valentina, e finalmente glielo dico.  

“Tu non sei una tra tante. Vorrei passare il Natale con te.” 

Sento il cuore che aumenta i battiti, sempre più forte dopo ognuna delle sei parole che scrivo. Quel punto alla fine, poi, mi lascia senza fiato. E se prima non riuscivo a togliermela dalla testa, adesso mi si contraggono i muscoli nell’attesa. Mi si chiude la gola. Mi viene voglia di cancellare ogni altra conversazione che abbia mai fatto con un’altra ragazza, ogni altra uscita, tutto.  

Per farlo diventare più vero di quanto non lo sia già.  

Suona, il cellulare. Un messaggio. Trattengo il fiato, chiudo gli occhi, poi li riapro.  

“Lo so, e non vedo l’ora. Aspettavo che te ne rendessi conto anche tu.” 


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