I vincisgrassi di Nonna Luisa

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di Andrea Ansevini

Quando la mia nonna paterna era ancora in vita, facevamo grandi rimpatriate con grandi pranzi e cene. 

Tutto ciò solitamente accadeva quando era la vigilia di Natale, il giorno di Natale stesso e il 31 dicembre, giorno del suo compleanno e 1 gennaio. 

Altre rimpatriate poi avvenivano in occasione dei compleanni dei suoi figli, nipoti e pronipoti quando tutti quanti noi parenti ci riunivamo e si facevano grandi feste che duravano fino a tardi.  

Era proprio vero che sono i nonni, chiamati da me scherzosamente “i  nonni bigi” per via del colore grigio-bianco dei loro capelli, sapevano tenere unite le famiglie. 

Proprio due anni fa, quando mia nonna Luisa morì, tutto quanto è andato perso.  

Nessuno, quando ci vediamo, ha più lo stesso entusiasmo che aveva lei, soprattutto con quel gran ben di Dio che cucinava ogni volta, per cui, di quelle rimpatriate, sono rimasti soltanto i ricordi impressi in una fotografia degna di una tela impressionista dai colori confusi e ricordi lontani che via via stanno andando a perdersi.  

Da quel momento in poi, per me il Natale è sempre stato solo più a livello familiare, con la mia famiglia che sta facendo ora da sfondo al suo posto, ma invano, dato non riescono a colmare la sua grande assenza. 

Così puntualmente,ogni volta che ci riuniamo, il mio ricordo vola a quando mia nonna Luisa preparava il suo pranzo di Natale per tutti quanti. Un pranzo che durava fino a capodanno, a volte anche oltre; ma poco male, perché era tutto ciò che preparava con tanta passione ed entusiasmo era buonissimo e succulento.  

Uno dei piatti che non mi scorderò mai di lei erano i vincisgrassi, chiamati da me ad alta voce quando mi sedevo a tavola “i vincisgrassi di nonna Luisa”. 

Fin dal mattino presto preparava con cura tutto quanto. Ricordo che mi lasciava sempre la besciamella sul pentolino da mescolare, poi quella che restava, se ero stato bravo me la faceva mangiare, perché sapeva quanto mi piacesse.  

Mi ricordo quanto bello era aiutarla a preparare la pasta sfoglia e farla arrabbiare perché, io soprattutto, scoperchiavo le pentole e assaggiavo di tutto, dal sugo che metteva a bollire, alla carne. 

La carne che usava ricordo era a base di maiale e manzo, tutta tagliata in piccoli pezzi che poi metteva all’interno di una pentola di sugo e che lasciava cuocere per più di un’ora. 

Ogni tanto mi diceva di andare a togliere il coperchio e di girare il condimento che c’era all’interno fino a che non diventava ben cotto e solido. 

Una volta che era cotto mi chiedeva di aiutarla a stendere l’impasto, che lei poi guarniva con il sugo che nel frattempo si era cotto. 

Creava diversi strati fino a che tutto il condimento non finiva, poi alla fine sull’ultimo strato ci cospargeva un abbondante strato di parmigiano e infornava il tutto. 

Man mano che la pietanza cucinava nel forno, nell’aria attorno si assaporava e gustava tutta la bontà che sarebbe uscita da lì una volta che si sarebbe cucinata per bene. 

Avevo l’acquolina in bocca solo a sentirne l’odore, figuriamoci nel mangiarla… 

Quando veniva tolta dal forno, correvo subito al mio posto e impaziente aspettavo la mia parte. 

Come mi arrivava la razione che mi spettava, come prima cosa ricordo mangiavo subito la croccante crosta in alto, per poi divorare tutto in un attimo i vari strati ripieni.  

Di solito ero sempre il primo a finire di mangiarla. 

Mia nonna quando si accorgeva, se erano avanzate delle porzioni ritornava vicino a me sorridente e me ne dava un’altra portata. 

Le nostre mangiate erano lunghissime… 

Ci si alzava da tavola che erano quasi le sedici, e si andava ognuno per i fatti suoi, per poi rincontrarci a cena, con il pranzo ancora sullo stomaco, ma con la consapevolezza che a Natale si mangiava, sempre. 

Siamo andati avanti così per quasi quarant’anni. 

Poi, se ne è andata, e il Natale dopo il suo addio sà meno di Natale, ma, tutto sommato, ho abbozzato il colpo.  

Mi sono detto: sarà un Natale diverso dal solito, ma non meno autentico.  

Da dopo la sua dipartita non ho mai avuto popolosi pranzi di Natale, non li ricordo nemmeno più le grandi rimpatriate, se non nei miei ricordi.  

Quando ero piccolo il mio era veramente un Natale essenziale e importante, e sapere di non poter andare a mangiare a casa dei miei genitori e mio fratello, mi riempie il cuore di malinconia.  

Non mi importa della sfarzosità, non mi importa dell’esagerazione, ma avrei voluto tanto il mio essenziale e importante come ai vecchi tempi, solo quello. 

I grandi Natali sfarzosi li ho abbandonati con il crescere, ma quelli intimi erano comunque, la mia tradizione, e la tradizione sono tutti i miei ricordi che mi porterò sempre impressi nel riguardare quelle vecchie fotografie di cui ancora oggi conservo memoria nella mia mente e dentro il mio cuore, e che, vivranno per sempre lì ricordando sempre in particolare “i vincisgrassi di nonna Luisa”. 


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